venerdì 30 dicembre 2011

La sindrome del gallo

Sette lettere aperte
al Ministro
della Pubblica Istruzione
Francesco Profumo

Seconda missiva
Beniamino Brocca
Libera Università di Bolzano

La sindrome del gallo

Ricordo a me stesso, con frequenza, un aforisma di Thomas S. Eliot, in cui il poeta americano avverte che “ci sono dei pulcini che quando diventano galli credono che il sole si alzi per sentirli cantare”. Si tratta di una sindrome pericolosa che induce le persone assurte a ruoli di responsabilità culturale, economica, civile, politica….a commettere degli errori dannosi nella propria vita o nella gestione della “cosa pubblica”. Quando poi, si restringe la visuale al campo dell’istruzione e della formazione diventa più facile scoprire, da un lato gli abbagli e gli sbagli che si compiono e, da un altro lato, i progressi e i successi che si ottengono.
Sotto il primo profilo, dei fallimenti, non è necessario tanto acume per riconoscere il malessere che tormenta il sistema educativo e il personale docente. E’ l’effetto, soprattutto, di una politica scolastica….del gambero, voluta e perseguita da coloro che si sono succeduti negli ultimi anni al governo dell’istruzione e della formazione i quali, impropriamente, hanno denominato riforme sia le devastazioni frenetiche delle “buone pratiche” gettate, insieme alle preziose sperimentazioni, nella discarica delle immondizie, sia il dissesto inconsulto della struttura ordinamentale e curriculare della istituzione. Non chiamiamole – per favore – riforme, eventualmente – come era in uso presso i comuni medioevali quando emanavano delle leggi speciali in deroga al diritto generale ed agli statuti locali – “ chiamale, se vuoi, riformazioni”. Infatti, anche gli attuali atti normativi sono stati deliberati a prescindere dal buon senso, sempre più latitante; dal diritto delle giovani generazioni a frequentare una scuola che sviluppi al massimo il loro potere mentale e morale; dalla necessità di maturare personalità autonome e libere in una realtà sociale volta alla omologazione. Gli ultimi stop and go delle riformagioni, non solo sono la causa dello stress dell’organizzazione e dei protagonisti, ma sono pure in sé delle cattive operazioni da cui non si possono defilare alcuni complici in cerca, ora, di una verginità perduta. Si è accorto anche chi il 20 febbraio 2009, collaborando con il ministro pro tempore, auspicava ”meno pedagogia e più saperi” e il 12 settembre 2011 denunciava “l’inutile nuovismo senza contenuti”. (si vedano, a tal proposito, i due articoli pubblicati su Il Messaggero, da Giorgio Israel).
Si spera debba accorgersene anche l’attuale Ministro, giunto di recente alla guida della Pubblica Istruzione - che, come non è progettabile alcun ammodernamento o ristrutturazione di qualsivoglia edificio precedentemente demolito, così non è possibile “migliorare l’esistente” del sistema educativo, in quanto malridotto, dai tagli lineari e dai provvedimenti devastanti.
Peraltro, Giuseppe Mazzini, osservava, giustamente, che “ogni potere, non “escito” da una immediata rivoluzione (….) segue, non inizia. Ratifica non promuove”.

Sotto il secondo profilo, dei rinnovamenti, uscendo dalla litania delle lamentazioni, si avverte l’urgenza di prevedere e di infondere, in una eventuale ipotesi di riordino dell’assetto ordinamentale e curricolare, un supplemento d’anima per dare un senso, una direzione, un traguardo. Occorre a questo scopo, attivare e coltivare due attenzioni.
La prima attenzione si concentra su due “passaggi” significativi del progetto educativo. Da una parte c’è l’apprendimento per tutto l’arco della vita che trova nel messaggio di Lisbona 2000 il principale punto di appoggio; che trova nella richiesta di menti aperte e manodopera duttile la sollecitazione più forte (sebbene inascoltata) proveniente dal mondo del lavoro il cui mercato preannuncia evoluzioni rapide e cambiamenti professionali; che trova nello strabismo, (confermato) del sistema scolastico secondario superiore ( il quale guarda verso una cultura solida da dare a tutti e una specializzazione finita da dare a ciascuno) la bugia e il danno più eclatanti; che trova nei palliativi di modelli di istruzione e di formazione, terminali della secondaria di secondo grado, gestiti dalle fondazioni inventate dal ministero e confindustria, una soluzione frivola e inutile; che trova nella proposta di un percorso postsecondario triennale, non universitario, in grado di fornire una qualificazione professionale ( per alcune e determinate attività lavorative), la risposta più seria e più funzionale alla domanda di “mentedopera” preparata. Da un’altra parte c’è l’irruzione della figura del docente professionista, che viene inteso non solo in una accezione ampia, ma anche stretta, quale detentore di una mansione intellettiva complessa, socialmente utile, culturalmente specializzata…., avente,cioè, alcune proprietà codificate da Myron Lieberman; un professionista che si afferma a seguito del declino delle figure tradizionali del docente impiegato, funzionario, missionario, tecnico…..; un professionista sui generis che opera in una società mutata dove permane la distinzione dai mestieri, dove l’inserimento nelle tecnostrutture non penalizza l’autonomia, dove si addice la denominazione di professione culturale; un professionista che, comunque, non va irriso con gli appellativi di lavoratore intellettuale degradato, fasullo, semivero….Quella del docente professionista è una tesi che non va scartata a priori e che va esaminata in rapporto con il superamento della divisione del lavoro e con l’esercizio della sua funzione educativa.
La seconda attenzione si focalizza su una visione strategica consistente nel riferimento a una “idea stellare” che orienta le decisioni nel campo dell’istruzione e della formazione; nella costruzione di una “scuola nuova intorno alla fontana antica” la quale rappresenta l’insieme dei bisogni e delle attese educativi delle giovani generazioni; nella esplicitazione di una prospettiva volta…., innanzitutto, a promuovere una “ scuola di pensiero” ( non un pensiero debole, minimale, sbrigativo, proprio del tempo adessista, ma un pensiero forte, pieno, profondo, in una istituzione che induce al ragionamento, che incrementa il sapere, che alimenta la critica) e, inoltre, a maturare un “pensiero di scuola” da parte degli studiosi, dei legislatori, dei governanti. Oggi, gli elementi costitutivi di una prospettiva possono essere: un oggetto che è l’educazione i cui complementi di specificazione sono l’istruzione e la formazione; un osservatorio che è il punto di vista consistente nel “ culturalismo di qualità” descritto da Jerome Bruner; delle linee di sviluppo che si configurano, soprattutto, nella flessibilità (resilienza), nella sussidiarietà (pluralismo), nella solidarietà (cooperazione), nella accertabilità (valutazione).
Se è vero – come asserisce Robert Musil – che “ tutte le vie dello spirito partono dall’anima” allora anche quelle di una riforma vera del sistema educativo non possono fare a meno di questo afflato il quale, a sua volta, parte dalle due attenzioni segnalate che sono “ il bulino della memoria”.